lunedì 6 dicembre 2010

IL DISCUTIBILE SCIOPERO DEI NABABBI DEL CALCIO


di Andrea Paparella

Le trattative tra Assocalciatori e Lega calcio per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria non sembrano trovare una reale e positiva soluzione. Il passaggio di ieri all’Alta Corte di Giustizia del Coni non ha portato i risultati sperati e si fanno sempre più concrete le possibilità che lo sciopero dei calciatori, fissato per l’11-12 dicembre, venga messo in atto. Restano peraltro degli spiragli aperti per la revoca, come confermano le parole del presidente dell’Aic, Sergio Campana: «Ci sono i tempi tecnici, mancano ancora 10 giorni».
Ma i soggetti coinvolti appaiono ancora decisamente lontani, in particolare su due degli otto punti sul tavolo, due questioni sulle quali i calciatori non vogliono al momento discutere. In primis, il nodo allenamenti, per il quale la Lega sostiene la legittimità per l’allenatore di separare i “fuori rosa” dagli altri, con l’Aic che reputa tale distinzione inaccettabile. In seconda battuta c’è poi il tema del rifiuto ai trasferimenti ad un’altra squadra, possibilità per i tesserati che l’Aic vorrebbe mantenere mentre la Lega intende eliminare nel caso la nuova squadra sia dello stesso livello della precedente e assicuri le stesse condizioni economiche.
In definitva, un quadro molto complesso.
Tutte le parti in causa, con particolare riferimento ai giocatori, si rendono perfettamente conto di quanto sarebbe inopportuno uno sciopero, imbarazzo sottolineato dallo stesso Campana che non a caso ha ritenuto giusto puntualizzare, giocando con le parole: «Si tratta di astensione e non di sciopero». E sono alcuni degli stessi protagonisti del campionato a manifestare dubbi sulla linea dura, come nei casi di Chiellini e Buffon, i quali hanno auspicato una soluzione improntata al dialogo, o del portavoce Massimo Oddo che aderirà ma con riserva.
Probabile che, ancora una volta, lo sciopero (o astensione che dir si voglia) venga revocato o rinviato, ma il punto non è questo. L’imbarazzo di Campana e di alcuni giocatori dimostra come questa battaglia, nei tempi e nei modi, avrebbe dovuto essere gestita diversamente. E questa non vuole certamente essere un’accusa demagogica.
Il nostro Paese sta attraversando una fase estremamente delicata, per usare un eufemismo. Ecco perchè appare fuori luogo, non certo la rivendicazione dei propri diritti, ma che una categoria certamente non in sofferenza arrivi a minacciare lo sciopero. Quest’ultimo è un diritto sacrosanto di ogni lavoratore, non si discute. Ma probabilmente sarebbe stato più appropriato portare avanti una rivendicazione con un profilo più basso e questo semplicemente per ragioni legate alla contingenza di tutto quello che c’è fuori dal pianeta calcio. Un maggiore buon senso avrebbe certamente innescato meno polemiche e contenuto le reazioni di sdegno e insofferenza che invece hanno accompagnato l’intera storia. Come nel caso, notizia di ieri, di alcuni tifosi della Juventus, che si sono dichiarati pronti a mettere in atto un contro sciopero del tifo: «L'Italia vive una situazione drammatica - si legge nel comunicato - con famiglie che non riescono a garantire la sopravvivenza economica ai propri figli e con l'angoscia di perdere o di trovare un posto di lavoro. Il calcio è la nostra passione, il nostro svago, la nostra vita e voi siete gli attori principali di tutto ciò ma state rovinando tutto questo. A tutti i tifosi, club, associazioni chiediamo di non andare allo stadio per protestare contro lo sciopero indetto dai calciatori ».
Una posizione che ben sintetizza il pensiero di molti italiani, tifosi e non, e sulla quale l’Assocalciatori dovrebbe riflettere.

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