giovedì 23 dicembre 2010

CALCIO E PAY-TV: IL MODELLO ITALIANO VERSO IL FLOP?

Fonte: Calciopress

Il danno che sta procurando in Italia il calcio spezzatino propinato dalle pay tv potrà essere valutato nella sua pienezza solo a medio-lungo termine. Già da oggi, però, lo svuotamento degli stadi indotto dagli orari assurdi in cui si giocano le partite e dalla spalmatura in troppi giorni della settimana del campionato di Serie A Tim è sotto gli occhi di tutti. L’arroganza dimostrata verso i tifosi da stadio e gli abbonati ha superato ogni ragionevole limite. Sky e Mediaset, con la connivenza dei vertici del nostro sistema pallonaro, hanno frantumato le ultime resistenze. L’errore di fondo è stato appiattirsi sul modello inglese, senza tener conto dei problemi che affliggono i club italiani e della peculiarità del tifoso italiano rispetto a quello d’oltre Manica.
La pay tv in Inghilterra – Il modello inglese di televisione a pagamento è quello che, in Europa, ha messo a disposizione dei club i maggiori introiti. Pertanto ha costituito e costituisce, per le società italiane e non solo, un modello da emulare. Si tratta però di conoscerne a fondo i meccanismi, per valutare se sia stato o meno giustificato pensare di esportarlo da quel contesto al nostro. In Inghilterra la pay tv è nata nel 1992, cioè diciotto anni fa. All’inizio l’affare valeva 191 milioni di sterline, per poi crescere in modo quasi esponenziale nel corso degli anni. Il controvalore per i club si è infatti attestato, per il periodo 2007-2010, alla considerevole cifra di 1.700 milioni di sterline. Sky, per non incorrere negli strali dell’Antitrust dell’UE, ha rinunciato al suo monopolio. Nella Premier League si contano infatti sei pacchetti diversi: quattro sono appannaggio di BSkyB e due di Setanta. Senza entrare nello specifico dell’offerta, si deve comunque precisare che lo spezzettamento è totale. Ciò per garantire al tifoso da poltrona il maggior numero possibile di partite, in tutti i giorni della settimana e a tutte le ore del giorno. Ciò anche perchè le partite inglesi sono irradiate anche in Asia, dove l’appeal per la Premier è notevole e bisogna dattarsi alla differenza di fuso orario. Ecco spiegata la ragione per cui, in Inghilterra, si gioca anche all’ora di pranzo. La trattativa non è collettiva, ma singola. Gli incassi delle singole società dipendono dal fatto di essere state messe sotto contratto o meno. Il modello inglese di pay tv non ha pregiudicato l’affluenza negli stadi, che resta altissima a tutti i livelli (Premier League, Championship, Football League 1 e 2).
I proventi della pay tv in Inghilterra – La suddivisione dei proventi avviene in Gran Bretagna con percentuali predeterminate. Il cinquanta per cento, in parti uguali, viene distribuito a tutte le partecipanti al pacchetto. Il restante cinquanta per cento per una metà tenuto conto della classifica finale dei singoli club (il meglio classificato guadagna anche venti volte in più rispetto al peggiore del pacchetto) e per l’altra metà del numero di partite di ogni singola squadra teletrasmesse di fatto. Quest’ultima regola finisce per avvantaggiare le squadre che possono annoverare il maggior numero di tifosi da poltrona (ovvero quelli che si abbonano alla pay-tv per guardarsi le partite da casa). In Inghilterra, in termini di incassi da pay tv, i grandi club battono quelli piccoli per 4 a 1. In Italia la legge Melandri ha sancito la vendita collettiva dei diritti televisivi (vietando la contrattazione singola), ma ancora i club si devono mettere d’accordo su come dividersi i proventi.
La pay tv in Italia – In Italia la legge Melandri-Gentiloni (leggete QUI tutto quello che c’è da sapere in materia, ndr) ha sancito la vendita collettiva dei diritti televisivi e vietato la contrattazione singola. I club della Serie A TIM si devono ancora mettere d’accordo su come dividersi i proventi e sui bacini di utenza la guerra è sotterranea. Inoltre la Serie Bwin e la Lega Pro sono fortemente penalizzate, tanto che Macalli sta affilando le armi perché non si accontenta dell’1% che è stato riservato ai club di Prima e Seconda Divisione Nazionale. Inoltre i ricavi di un qualsiasi club calcistico italiano dovrebbero derivare dalla combinazione di tre voci: 1) diritti tv; 2) incassi al botteghino; 3) proventi originati da marketing, merchandising e sponsorizzazioni. Per stare dentro le regole le società professionistiche dovrebbero conteggiare introiti derivanti da ciascuna delle tre categorie in proporzione di circa un terzo. E’ un fatto che, in Inghilterra, la maggioranza dei team rientra in questo tipo di situazione. I bilanci dei club di oltre Manica sono correttamente equilibrati fra le tre voci di ricavo, anche se il loro indebitamento si sta facendo imponente (Liverpool e Manchester United docent). In Italia, viceversa, la maggioranza (la totalità?) dei club non rientra in questi parametri. I ricavi messi a bilancio provengono infatti, in una misura valutabile intorno al sessanta per cento (ovvero per quasi due terzi), dai diritti tv. In certi casi, questa proporzione arriva anche oltre. Un elemento aberrante. Che consegna alle televisioni il potere decisionale di stabilire i palinsesti del pianeta calcio italiano. Ovvero di imporre le date e gli orari nei quali disputare le partite. I club e i tifosi del Belpaese sono, dunque, alla totale mercè delle pay tv.
Modello inglese vs modello italiano – Per raffrontare i due modelli, quello inglese e quello italiano che ha voluto esserne una copia conforme, va detto ancora che i club britannici sono proprietari degli stadi in cui giocano. Dispongono, al loro interno, di adeguati locali di ritrovo a disposizione dei tifosi in qualunque giorno e a qualsiasi orario si decida di disputare la partita (ivi comprese strutture alberghiere dove poter alloggiare). Questo perché il tifoso da stadio non deve mai soccombere, pena la sopravvivenza di un prodotto televisivo che vive anche del folklore connesso allo spettacolo dal vivo, al tifoso da poltrona. Tutti questi elementi rendono il contesto anglosassone troppo diverso rispetto a quello italico e il suo spezzatino meno indigesto per le tifoserie d’Oltre Manica. Esattamente l’opposto di quanto accade oggi in Italia. Bisognerà che qualcosa cambi perché il sistema non soccomba.
Sergio Mutolo

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