ATTENZIONE! Questo che vedete in foto è lo schifo andato in onda a Trieste nella partita di ieri contro il Pescara. Un immenso telone raffigurante il pubblico, steso sulle sedie di una tribuna vuota, chiusa quest'anno per contenere i costi!
A Trieste hanno uno degli stadi più belli d'Italia, assolutamente inutile perchè vuoto. A Trieste hanno creato un precedente pericoloso, sostituendo il pubblico vero con un pubblico di cartapesta, col solo scopo di "rendere migliori le riprese televisive degli spalti"! Il presidente della Lega di serie B, Andrea Abodi, l'ha definita "una soluzione esteticamente piacevole". Abodi, va ricordato, è uno di quelli che difende la Tessera del Tifoso a tutti i costi sposando addirittura la maroniana teoria che "gli spettatori negli stadi sono aumentati". Il via libera al pubblico virtuale. Fra poco apriranno le porte ai cori preregistrati come nella playstation. Una tristezza unica, ma gli italiani se la fanno e se la ridono, parodia di uno dei più stupidi ed ignoranti popoli europei, convinti però di essere tutti dei gran furboni sotto sotto... Ed in Europa, si stanno sbellicando dalle risate!
Ovviamente, chi ha sottoscritto la Tessera del Tifoso è complice di tutto questo, compresi quei gruppi di quelle curve che, vuoi per "interessi superiori", vuoi per elitario snobismo dato dal glorioso passato (glorioso passato che fa a pugni col mediocre presente), vuoi perchè proprio non ci arrivano, possono prendere liberamente posto nel settore ospiti e magari si sentono anche dei privilegiati. O più bravi degli altri. O semplicemente, da bravi italioti, credono di essere più furbi.
Fonte: Repubblica
In un calcio sempre più falso, i tifosi di plastica sono qualcosa di coerente. E così, per risparmiare sui costi di gestione di una curva (intitolata a un grande del passato, Colaussi, campione del mondo nel '38: quando non c'erano tifosi finti, però si doveva tendere il braccio verso il Duce), il presidente della Triestina chiude quel settore (risparmio di 100 mila euro all'anno, malcontati) e invece delle persone mette un telone. Le sagome non tifano, non menano, non pagano: nessuno è perfetto. Lo stadio di Trieste si chiama "Nereo Rocco", e il paròn si starà rivoltando nella tomba.
E' quasi una deriva giapponese, sia detto senza offesa. Perché viene in mente quando, nelle prime edizioni della famigerata Toyota Cup (vale a dire, il nome che provarono a dare alla gloriosa Coppa Intercontinentale), sulle tribune dello stadio di Tokyo risuonava il tifo in playback, diffuso dagli altoparlanti. Un po' come accade in certi meravigliosi giardini giapponesi, dove neppure una fogliolina è fuori posto e dove, per esempio a Kobe, a volte cinguettano passerotti meccanici. E pure le mai troppo vituperate vuvuzelas, nella recente estate del nostro scontento, non erano tutte vere: venivano infatti sparate dalla regia degli impianti, alzando il volume di questa specie di base sonora da karaoke quando una delle due squadre si avvicinava alla porta avversaria.
I tifosi di plastica sono un risparmio economico, ma più che altro una metafora. Raccontano di un calcio che ha venduto l'anima (ma anche quella parte del corpo appena sotto la cintura dei pantaloni, vista però da dietro) alle tivù, dunque alla virtualità, senza la quale non si sopravvive perché garantisce gli unici soldi freschi, non come le banconote del Monopoli con cui si è svolto l'ultimo mercato, comprando con debiti, con promesse, mica cash. E chissà come saranno contenti i giocatori, visti da occhi disegnati, applauditi da mani dipinte: anche se poi i loro stipendi li pagano le televisioni, dunque il cerchio è chiuso. Come la curva.
E' quasi una deriva giapponese, sia detto senza offesa. Perché viene in mente quando, nelle prime edizioni della famigerata Toyota Cup (vale a dire, il nome che provarono a dare alla gloriosa Coppa Intercontinentale), sulle tribune dello stadio di Tokyo risuonava il tifo in playback, diffuso dagli altoparlanti. Un po' come accade in certi meravigliosi giardini giapponesi, dove neppure una fogliolina è fuori posto e dove, per esempio a Kobe, a volte cinguettano passerotti meccanici. E pure le mai troppo vituperate vuvuzelas, nella recente estate del nostro scontento, non erano tutte vere: venivano infatti sparate dalla regia degli impianti, alzando il volume di questa specie di base sonora da karaoke quando una delle due squadre si avvicinava alla porta avversaria.
I tifosi di plastica sono un risparmio economico, ma più che altro una metafora. Raccontano di un calcio che ha venduto l'anima (ma anche quella parte del corpo appena sotto la cintura dei pantaloni, vista però da dietro) alle tivù, dunque alla virtualità, senza la quale non si sopravvive perché garantisce gli unici soldi freschi, non come le banconote del Monopoli con cui si è svolto l'ultimo mercato, comprando con debiti, con promesse, mica cash. E chissà come saranno contenti i giocatori, visti da occhi disegnati, applauditi da mani dipinte: anche se poi i loro stipendi li pagano le televisioni, dunque il cerchio è chiuso. Come la curva.
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